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Elisabetta Degano

Testimonianze di emigrazione: andata e ritorno

 

Grazie alla disponibilità degli abitanti di Pozzuolo, Carpeneto, Cargnacco, Sammardenchia, Terenzano e Zugliano è ora possibile leggere queste testimonianze, raccolte nei primi mesi del 2002, che narrano uno spezzone della loro vita da emigrante.
Sono stati anni duri che li hanno costretti a una vita di sacrifici, lontano da casa e dai loro cari. Il desiderio di rientrare in patria è stato così forte che sono ritornati in Friuli non appena è stato loro possibile. I pozzuolesi hanno dimostrato di amare la propria terra, la propria lingua, la cultura e le tradizioni, mantenendole vive tra le mura domestiche durante i loro anni trascorsi all’estero.

Rialda Rodaro parte per Buenos Aires il 2 giugno del 1950 per raggiungere il marito Luigi Mini, oltreoceano già dal 1948 e impiegato in una fabbrica di calzetti. Per sette anni Rialda e il marito vivono nella stessa casa assieme ad altre due coppie di amici partiti come loro da Pozzuolo alla ricerca di un lavoro. Mentre il marito lavora in fabbrica, lei bada alla casa e lavora a domicilio per la ditta in cui è impiegato Luigi. Nel 1952 Luigi Mini si licenzia e decide di mettersi in proprio. Con uno dei friulani con cui viveva costruisce una stanza accanto alla casa presa in affitto e dà inizio alla sua prima attività non più da dipendente. Nella loro piccola fabbrica vengono prodotte le parti in plastica utilizzate per bloccare il tappo delle bottiglie di champagne e i tappi sempre in plastica usati per chiudere le bottiglie di olio da un litro e mezzo. Successivamente il marito e il socio decidono di ampliare l'attività iniziando a costruire modellini di macchine. I primi prototipi sono quelli delle macchine da pompiere, della polizia e ambulanze. Gli affari vanno be ne, anche le persone che inizialmente erano diffidenti nei loro confronti cominciano a guardarli con occhi diversi. Con i guadagni ottenuti da questa attività nel 1957 i due soci acquistano una casa più grande e il capannone poco distante dalla nuova abitazione, che diventerà poi la loro nuova sede di lavoro. Nello stesso anno nasce la prima figlia di Rialda e di Luigi.

I coniugi Mini; Lujan (Argentina), 1950 ca.

Nel 1963 i due soci rilevano una fabbrica di bambole. Alla precedente attività di costruzione di macchinine si aggiunge, ora, quella nuova. Per una migliore organizzazione del lavoro, Rialda Rodaro e il marito controllano la fabbrica di modellini, il socio e la sua famiglia dirigono la fabbrica di bambole. Nonostante questa divisione logistica i due hanno uguale potere decisionale su entrambe le ditte. L'attività dei due soci procede molto bene, dai prototipi arrivano a costruire, negli anni 1970, le macchinine telecomandate con batteria e filo. I due friulani lavorano insieme fino al 1978 quando il contratto della società da loro fondata scade. Decidono di dividersi le due fabbriche, anche se, in realtà, i due continuano ad aiutarsi reciprocamente.

Nel 1980 la figlia, durante una vacanza in Italia, decide di stabilirsi a Pozzuolo definitivamente e, nel 1986, anche Rialda Rodaro e suo marito, dopo aver venduto la fabbrica e la casa a Buenos Aires, rientrano nel loro paese d'origine.

Orfeo Chiandussi parte a diciannove anni non ancora compiuti per la Francia. A Carpeneto è disoccupato e, nel settembre del 1948, con altri sei compagni di Blessano decide di lasciare il paese alla ricerca di un lavoro. Arriva in Francia, in Savoia, come clandestino passando il Piccolo San Bernardo. Si ferma al centro di accoglienza per italiani dove gli viene detto che l'unica possibilità di lavorare è andare in miniera: in caso contrario deve ritornare in Italia. Nonostante l'accordo stipulato con l'Italia di non accettare più italiani, Orfeo Chiandussi rimane a lavorare nella miniera di carbone per un anno, dal 1948 al 1949, nel nord della Francia, a Pas-de-Calais. In seguito decide di lasciare la miniera e di andare a Bozel a lavorare come minatore in una galleria, in una centrale elettrica. Il suo domicilio, allora, era presso uno zio emigrato in Savoia verso il 1926. Il lavoro del minatore non gli piace e, dopo un anno, decide di cambiare mestiere. Per sei mesi fa il muratore e poi impara a fare l'imbianchino. Il marito di una sua cugina che vive in Francia fa il pittore e decide, così, di diventare anche lui imbianchino. Nel 1957 si sposa in Francia e nel 1959 nasce una figlia. Nel 1960 con la moglie francese e la figlia si trasferisce dalla Savoia a Parigi. Nel 1962 decide di mettersi in proprio e fa l'imbianchino fino al 1978 quando rientra definitivamente in Italia assieme alla moglie.

Laurino Monticoli lascia Carpeneto a venticinque anni diretto in Belgio. Dopo aver stipulato un contratto di lavoro parte con altre quattro persone di Carpeneto. Dopo solo un giorno di lavoro due dei suoi paesani ritornano in Italia; lui e un altro si fermano a La Louvière per sette anni, dal 1951 al 1958, dove lavorano nelle miniere di carbone. Nel 1954 si sposa con una donna belga e nasce il primo figlio. Nel 1957 Laurino Monticoli con la moglie e il figlio vanno in ferie a Rugeley in Inghilterra a trovare la sorella di Laurino. È durante questa vacanza che il titolare di suo cognato gli propone un nuovo posto di lavoro come contadino. Laurino decide di accettare la proposta e la famiglia si trasferisce a Rugeley dove vi rimane per cinque anni. Successivamente si trasferisce a Stafford dove lavora in un garage come carrozziere per ventisette anni e mezzo con lo stesso padrone. Nel frattempo nascono a Stafford altri due figli, nel 1963 e nel 1966. Nel 1990 ritorna definitivamente a Carpeneto assieme alla moglie. Attualmente i due figli vivono in Inghilterra.

Durante i suoi anni in Belgio non ha avuto grandi problemi con la lingua francese, che ha imparato velocemente in soli sei mesi. Al contrario, con l'inglese ha avuto qualche difficoltà. Durante i cinque anni a Rugeley con la sorella parlava in friulano, con il cognato e con il suo titolare parlava in italiano. Ha imparato l'inglese nel garage, a Stafford, perché nessuno conosceva la sua lingua madre.

Nel 1964, a soli ventidue anni, Ettore Tubaro decide di emigrare. Dopo aver completato gli studi serali all'Istituto Tecnico Industriale “Arturo Malignani” di Udine parte da Pozzuolo alla volta della capitale londinese. Al capo della ditta dove lavora, a Basaldella, dice di andare in vacanza per pochi giorni; invece, con un biglietto di sola andata e con due indirizzi ai quali rivolgersi, parte alla volta di Londra. Nella città londinese alloggia al YMCA per sei mesi. Questa sistemazione temporanea si trova vicina al posto di lavoro, ma in seguito trova un appartamento. Per quattro anni e mezzo, dal 1964 al 1969, lavora a Londra prima come motorista in rettifica e poi con un privato alla costruzione di prototipi per macchine da corsa. Durante gli anni trascorsi in Inghilterra segue dei corsi serali presso i col - leges ottenendo diversi certificati che provano i vari livelli di conoscenza raggiunti nella lingua inglese. A Londra si presenta per un colloquio presso la ditta “Caterpillar” per un lavoro in Libia. Durante un suo soggiorno di tre mesi in Germania gli arriva l'avviso che la sua domanda di lavoro a Bengasi è stata accettata e parte per un anno in Africa. Scaduto il contratto, ritorna nuovamente in Germania dove lavora alla “Porsche” per altri dodici mesi. Alla fine del 1971 si sposa a Londra con una donna tedesca ed insieme ripartono alla volta della Libia per un altro anno. Successivamente rientra in Italia e qui vi lavora per un periodo fino a quando risponde ad un annuncio su un giornale per un colloquio a Ginevra, in Svizzera. La ditta, con sede a Ginevra, lo assume in qualità di istruttore per la manutenzione dei macchinari in movimento. Il suo compito è di addestrare le persone del luogo nella corretta manutenzione delle strade e dei mezzi pesanti. Il training si svolge in lingua inglese. La sua nuova sede di lavoro è la Nigeria. Qui arriva con la moglie e i due figli e vi lavora dal 1974 al 1979. Terminati i cinque anni di lavoro in Africa rientra in Italia per tre mesi per ripartire, successivamente, nella Guinea Francese e precisamente a Conakry dal 1979 al 1981. Le sue mansioni sono le stesse di quelle svolte in Nigeria, ma l'addestramento questa volta avviene in lingua francese. Nel 1981 rientra in Italia in attesa di ripartire per il Senegal con la stessa ditta svizzera che lo aveva assunto precedentemente. Nel frattempo, risponde ad un annuncio in Germania e parte in India in qualità di istruttore per una ditta che fa trivellazioni. Qui si ferma dal 1981 al 1984, ma questa volta senza la moglie e i due figli che rivede ogni sei mesi in Italia. Quando termina il contratto rientra in Italia da dove riparte per l'Egitto e dove si trattiene dalla fine del 1984 alla fine del 1985. Durante il suo anno in Egitto lavora come capo officina in una ditta italiana, affiancata ad una americana, che affitta macchine operatrici per officine. Nel 1986 rientra definitivamente in Italia dove lavora alla ditta “Iveco” fino alla pensione.

Sieno Monticoli parte per la Svizzera nel maggio del 1950, a ventinove anni, lasciando a Carpeneto la moglie e tre figli. Nel paese d'origine non ha un contratto fisso e lavora nei campi saltuariamente. All'estero sostituisce per sei mesi un suo compaesano e lavora in una fattoria dove munge 35 vacche al giorno. Lavora poi in un ristorante come cuoco e, nell'agosto del 1951, chiama la moglie. Lavorano insieme per un breve periodo nel ristorante e poi, entrambi, cambiano posto. La moglie va come domestica in una casa, mentre lui lavora in una latteria per cinque mesi. Nell'autunno del 1952 la moglie ha saputo che cercano una cuoca nella cava di pietra a Schwyz e così decide di trasferirsi subito. Successivamente chiama il marito che, dopo aver completato tutte le carte per l'assunzione con mansioni di controllo sull'intero operato della cava e dei suoi dipendenti, viene assunto nel gennaio del 1953. Nella primavera dello stesso anno Sieno chiama i suoi fratelli. I due fratelli maschi lo raggiungono nella cava dove lui è già impiegato, le due sorelle invece si dividono, una in un ristorante e l'altra nella mensa dell'azienda. Sieno Monticoli lavora nella cava fino al 1958. Nello stesso anno sente che a Göschenen un impresario del luogo cerca una cuoca per la mensa e così decide di trasferirsi. Parte con la moglie, due fratelli e un parente e lavora in un cantiere in montagna per la costruzione del traforo della ferrovia. Rimane nel cantone Uri fino al 1960 circa. Dopo l'inaugurazione del traforo, Sieno Monticoli e i fratelli si dividono. Lui e la moglie vanno nel cantone Ticino ad Airolo, un fratello va a lavorare con una ditta edile e l'altro in un ristorante. Ad Airolo la moglie di Sieno lavora come cuoca nel ristorante della locale stazione, mentre lui lavora nello stesso ristorante come tuttofare.

Durante tutti questi anni trascorsi all'estero la coppia vede i figli soltanto nelle vacanze estive.

Nel 1961 Sieno Monticoli rientra a Carpeneto per problemi di famiglia, ma è sempre intenzionato a ripartire quanto prima per la Svizzera o comunque verso un altro paese estero. Nel frattempo la moglie, rimasta in Svizzera, si trasferisce a Basilea nel maggio del 1961 dalla sorella di Sieno per lavorare come cuoca. Vi rimane per due anni e mezzo. A Carpeneto Sieno lavora saltuariamente e il cugino che vive in Germania gli propone di trasferirsi da lui a lavorare in una fabbrica. Dal 1963 al 1965 Sieno Monticoli lavora in una fabbrica di mattoni. Nel 1965 sente che la ditta “Mercedes Benz” sta cercando degli operai e, dopo aver fatto domanda, viene assunto. Lavora al montaggio di pezzi sui blocchi motore e tornio semiautomatico. Nel febbraio del 1974 rientra definitivamente in Italia dove lavora per sei anni ancora in una ditta di biciclette fino alla pensione.

Il suo desiderio di ritornare a Carpeneto è sempre stato forte, nonostante si sia trovato bene sia in Svizzera che in Germania. Di questi due paesi stranieri ha dei bei ricordi perché è sempre stato accolto bene. Una volta imparata la lingua sul posto di lavoro alcuni dei problemi iniziali sono stati superati. Durante i suoi anni di lavoro in Svizzera Sieno Monticoli ha chiamato ben 41 persone.

Almo Fasano parte da Sammardenchia nel maggio del 1951 a ventisette anni. In Italia, prima della partenza, lavora come calzolaio. Dopo aver fatto il militare, nel 1946/47, è disoccupato e decide di lasciare il suo paese. Grazie all'allora parroco di Galleriano, don Trigatti, parte per la Svizzera. Non appena arriva a Lucerna il fratello gli trova una prima occupazione in un hotel come aiutante cuoco. Qui vi lavora solo per pochi mesi. Nel frattempo, per non dimenticare una sua vecchia passione, entra a far parte della banda di Lucerna come trombettista dove vi rimane per circa un anno e mezzo ritrovandosi durante la settimana per le prove serali assieme ad altri amici. Dal 1952 al 1954, per 18 mesi si stabilisce a Emmenbrücke dove lavora come operaio in una ferriera. Con lui ci sono diversi friulani tra cui uno di Sammardenchia. Vive nelle baracche di legno che, scherzosamente, vengono chiamate “Villa Friuli”. Nel 1954 cambia lavoro e si trasferisce in una fabbrica metallurgica a Lucerna dove vi rimane per 10 anni. Nel 1954 sposa una donna svizzera dalla quale ha tre figlie nate a Lucerna rispettivamente nel 1960, nel 1963 e nel 1966. Attualmente la prima e la terza figlia vivono a Sammardenchia, dove si sono sposate con due friulani del paese.

Non soddisfatto del lavoro nella fabbrica metallurgica, Almo Fasano risponde ad un annuncio sul giornale e nel 1964 circa viene assunto da una tipografia, la “Bletter Age”, dove vi lavora per ventisei anni fino alla pensione. Le sue mansioni nella tipografia sono di custode della fabbrica e autista. Nel 1989 va in pensione in Svizzera e nel 1992 rientra definitivamente in Italia, a Sammardenchia.

Durante gli anni all'estero Almo Fasano prova un po' di nostalgia per la sua terra e i familiari lasciati in Friuli; ritorna nel suo paese una o due volte l'anno. Nel complesso, tuttavia, si è sempre trovato bene in Svizzera ed è stato trattato con rispetto. Non ha mai dimenticato le sue radici friulane. A casa pretendeva che le figlie a tavola gli si rivolgessero in italiano.

Pietro Gigante a soli undici anni salpa da Genova diretto in Venezuela. Assieme a lui parte anche la sorella maggiore di circa quindici anni. Vanno a raggiungere il resto della famiglia: il padre partito nel 1947, la madre e la sorella partite nel 1950. Il padre lavora per una compagnia petrolifera con il compito di disboscare con il caterpillar le zone nelle quali viene scoperto il petrolio, così da preparare una strada per un facile passaggio ai giacimenti. A quel tempo il capofamiglia non ha una residenza fissa e si sposta nelle foreste continuamente. Durante i due anni vissuti a Terenzano senza il resto dei familiari, Pietro Gigante e la sorella si sistemano presso il nonno materno quando, nel settembre del 1954, il padre ritorna in Italia con l'intenzione di riunire in Venezuela tutti i suoi cari. Dopo ventidue giorni di nave i tre sbarcano a La Guaira: passati tutti i controlli proseguono per Caracas. Successivamente Pietro viene mandato in collegio dai salesiani. All'inizio rimane in disparte, tende ad isolarsi dagli altri compagni. Anche la lingua gioca un ruolo rilevante, non conosce lo spagnolo e non capisce quello che dicono gli altri. I primi sette mesi sono un incubo, poi, pian piano, si inserisce nella nuova realtà. In Italia ha terminato la quinta elementare; purtroppo, a Caracas, deve ripartire dalla terza elementare. Non appena impara la lingua, riesce a fare la quarta, la quinta e la sesta in un solo anno. Le sole materie che non conosce alla perfezione sono la storia e la geografia. Durante gli anni di scuola la mattina viene dedicata allo studio, mentre il pomeriggio lavora nella tipografia del collegio. Sceglie la qualifica di tipografo che poi sarà il suo principale lavoro sia in Venezuela che in Italia una volta rientrato. Durante gli anni di studio esce dal collegio solo per andare a casa durante le vacanze. In realtà, Pietro Gigante non ha una casa fissa: la madre lavora come domestica, le sorelle lavorano come baby-sitter in altre due abitazioni e lui vive in collegio dove vi rimane fino a quindici anni, quando prende il diploma. Nel frattempo il padre continua il suo lavoro con la compagnia petrolifera nelle foreste. Dopo il diploma Pietro esce dal collegio e cerca il suo primo lavoro. Vuole guadagnare i primi soldi per aiutare la famiglia. Inizia a guadagnare bene e non ha intenzione di ritornare a scuola per proseguire gli studi. Il suo lavoro di tipografo lo fa rimanere in Venezuela fino al 1968 quando rientra con la madre in Italia definitivamente. Nel 1960 era già rientrato il padre a causa di problemi di salute e nel 1965 rientra una delle due sorelle con il marito. L'altra sorella vive attualmente in Venezuela con il marito cubano.

Durante i suoi anni a Caracas la famiglia Gigante ha pochi contatti con altri friulani. Lo stesso Pietro si è sempre sentito uno straniero, perché gli altri l'hanno fatto sentire diverso in ogni momento: “Erano invidiosi perché credevano che lo straniero rubasse agli abitanti del luogo posti di lavoro”, osserva Pietro.

Pietro Gigante non ha mai dimenticato il friulano ed ha sempre cercato di parlarlo con i suoi familiari.

Nello Gigante nasce nel dicembre del 1922 a Terenzano. Nel 1925, a soli due anni, parte con la madre e la sorella di cinque anni per la Francia per raggiungere il padre. Il capofamiglia era partito da solo nel 1923 per Foussmagne, nel Territorio di Belfort, dove lavorava in una fornace. Nello fa le elementari in Francia e subito si integra con gli abitanti del luogo. Non ha alcun problema con la lingua, è così piccolo che riesce ad imparare il francese con estrema facilità. Successivamente il padre va a lavorare in un'altra fornace a Langres, nel Dipartimento di Haute-Marne, dove Nello continua le elementari studiando fino a quattordici anni. Terminati gli studi Nello inizia a lavorare. Fa l'apprendista calzolaio per alcuni mesi, poi l'apprendista muratore, anche questo per alcuni mesi, infine fa il commesso in un negozio fino al 1938. Nel 1938 si trasferisce a Chaumont dove continua a svolgere il vecchio lavoro di commesso mentre il padre, nel frattempo, viene assunto in una tipografia. Ogni spostamento fatto dalla famiglia avveniva per migliorare la situazione economica. In Italia iniziano gli anni neri del fascismo e inizia anche l'odio dei francesi verso gli italiani. La situazione tra italiani e francesi si è deteriorata a tal punto che un giorno alcuni colleghi suoi e di suo padre li picchiano. Vengono salvati per miracolo dai riservisti francesi. In fretta e furia scappano in Italia, una sera di settembre del 1939: il padre, la madre, lui, la sorella e due fratelli nati in Francia nel 1929 e nel 1933. Appena arriva in Italia, Nello si meraviglia della povertà della gente del posto e il suo unico desiderio è di ritornare nuovamente all'estero. Nel frattempo, nel gennaio del 1942, parte per la guerra e vi rimane fino all'8 settembre del 1943. Nel 1946 ritorna in Francia come clandestino. Prende il treno fino ad Aosta, poi fino a La Thuile e dal San Bernardo arriva in Francia, a Nancy, in un centro di raccolta. Scrive ai suoi cugini, i quali lo vanno a prendere e lo portano a Langres. Appena arrivato nel vecchio paese dove aveva vissuto diversi anni prima, viene guardato con diffidenza dai francesi a causa delle conseguenze della guerra. Decide di rimanere in Francia per un anno e mezzo lavorando come aiutante cuoco nel ristorante di un italiano naturalizzato francese conosciuto durante la sua prima emigrazione. Nel 1947 torna a Terenzano per sposarsi con una donna italiana, ma la moglie non ha alcuna intenzione di trasferirsi in Francia e così rimane definitivamente in Italia.

Nello Gigante ha avuto più volte la possibilità di naturalizzarsi francese. Questo gli avrebbe permesso di essere assunto in posti migliori, ma ha deciso di rimanere italiano nonostante non conoscesse il paese. La prima volta ha dovuto emigrare perché era bambino e non ha potuto decidere, la seconda volta è stato lui a decidere.

Nel 1984 Agnese Pellizzari parte da Cargnacco con i suoi due figli per il Venezuela per andare a raggiungere il marito che risiede a Valencia. Sergio Gregoricchio era partito nel 1979, a 36 anni, per avviare una nuova ditta a Tinoquillo, a 70 km. da Valencia. Il padrone delle ditta, un venezuelano, aveva contattato Sergio Gregoricchio e un friulano di Cividale affinché lo aiutassero nell'installazione della nuova fabbrica. Questa avrebbe dovuto produrre pezzi di acciaio da utilizzare sulle piattaforme di petrolio. Il marito vive in Venezuela per nove anni da solo, alloggiando nel centro residenziale di Valencia. Nel 1982 e nel 1983 la moglie e i due figli vanno a trovarlo durante i due mesi estivi e solo nel 1984 tutta la famiglia si riunisce all'estero. I due figli, nati in Italia nel 1973 e nel 1976, arrivati in Venezuela si iscrivono rispettivamente alla sesta elementare (prima media italiana) e alla terza elementare. Inizialmente, per i figli, la situazione è difficile perché non conoscono lo spagnolo, ma in pochi mesi riescono ad impararlo perfettamente. Grazie agli amici venezuelani che frequentano a scuola e all'insegnante privata che li segue nei compiti riescono a mettersi alla pari con il resto dei coetanei.

Nel luogo dove vivono ci sono anche altri friulani che, come il marito, lavorano per la stessa ditta venezuelana. I fine settimana frequentano il Club Internazionale della ditta oppure il Fogolâr Furlan della città. Nel 1989 rientra in Friuli tutta la famiglia e, per undici anni, Sergio continua a fare lo stesso lavoro che svolgeva all'estero, ma questa volta per una ditta italiana. Nel 2000 i figli del precedente proprietario venezuelano riavviano a Valencia la produzione della fabbrica, che nel frattempo si era indebolita, e per l'occasione richiamano Sergio ad aiutarli a risollevare la situazione. Attualmente Sergio Gregoricchio si trova in Venezuela e lavora nella ditta in cui ha lavorato negli anni passati, gestita questa volta dai figli del precedente titolare.

Nello Gigante (secondo a destra) insieme alla sua famiglia; Chaumont 1938

 

Romano Lirussi parte il 27 novembre del 1947 per Winterthur, Svizzera. Non ha ancora vent'anni. Raggiunge la Confederazione Elvetica grazie all'atto di chiamata di due amici partiti, come lui, da Sammardenchia. Una volta in Svizzera vive nelle baracche di legno lavorando in una fabbrica come affilatore di utensili. Vi rimane per quasi sei anni. Per guadagnare più soldi e migliorare la sua posizione decide di trasferirsi in Germania, a Esslingen, dove lavora sempre come affilatore di utensili per tren tacinque anni e sette mesi. Nel 1956 sposa una donna italiana di Treviso conosciuta in Svizzera e, dopo il matrimonio celebrato in Italia, ripartono entrambi verso la Germania. Anche la moglie lavora con Romano nella stessa fabbrica. Vivono per sette anni in un appartamento messogli a disposizione dalla ditta; successivamente, vengono mandati in un altro appartamento sempre dato loro dalla ditta per la quale lavorano. Nel 1957 nasce la figlia in Italia e rimane con i nonni paterni per cinque anni, fino a quando i genitori la portano con loro in Germania. In Germania ci sono solo alcuni friulani di Treppo Grande. Sono loro i primi italiani in quella zona. Romano segnala di essersi sempre trovato bene in Germania, di non aver avuto grandi problemi con la lingua, anche grazie ai corsi serali di lingua tedesca fatti in Svizzera anni prima. Per la moglie, invece, ci sono stati alcuni problemi, ma riusciva comunque a capire e a farsi capire. Nel marzo del 1990 Romano Lirussi va in pensione in Germania e, nel 1991, la coppia rientra definitivamente in Italia.

Adelchi Chiavon parte nel febbraio del 1955 per l'Argentina diretto a Buenos Aires. Laggiù già si trovavano gli zii Francesco e Ugo Chiavon partiti verso la fine degli anni Trenta, chiamati a rilevare la ditta della moglie di Francesco lasciatale in eredità. Adelchi avrebbe dovuto partire oltreoceano con la zia, ma le cose vanno diversamente. Egli acquista i due biglietti per la nave, ma poco prima di salpare la zia cade e si rompe il femore. Purtroppo la partenza sembra essere posticipata di qualche mese, ma Adelchi Chiavon decide ugualmente di partire. Ha già acquistato il biglietto ed è comunque intenzionato ad andare all'estero. Dopo ven - ticinque giorni di nave arriva a Buenos Aires. Qui non si può fermare per il suo visto da turista e deve allontanarsi dalla capitale per circa 50 km. e stare lontano da Buenos Aires per un tempo non inferiore ai sette mesi. Alloggia a Junin da alcuni amici di Pozzuolo che gentilmente si assumono la responsabilità della sua permanenza in terra argentina. Lavora nell'impresa edile dei suoi compaesani. Verso la fine del 1955, grazie agli stessi compaesani, cambia lavoro e viene assunto dalla ditta “Mattiazzi & CIA.S.A.” in qualità di meccanico. Dopo un anno si trasferisce a Buenos Aires accettando il lavoro offertogli dallo zio nella ditta edile. Vi rimane per otto mesi. Durante una vacanza a Junin decide di ritornarvi e di accettare un nuovo impiego. Inizialmente è un apprendista meccanico, poi un operaio specializzato e infine, dopo tre anni, diventa socio della ditta. Nel 1958 inizia le pratiche per far arrivare la moglie Maria Nazzi di Sammardenchia. Riesce a sposarla solo nel 1960 per procura: finalmente, la moglie arriva a Buenos Aires nel gennaio del 1961 dopo ventun giorni di nave. Superati i vari controlli sanitari, la moglie raggiunge Junin dove si trova il marito che, nel frattempo, ha affittato una casa. Per un periodo fa la casalinga e poi per alcuni mesi lavora in una fabbrica della Coca Cola dove si producono le cassette per riporre le bibite. Maria Nazzi rimane in Argentina per tre anni, poi assieme al marito ritorna in Italia il 3 marzo del 1964. A Zugliano Adelchi Chiavon non riesce a trovare un posto fisso, lavora in un'officina di autotreni dove è costretto a fare molte ore con una paga molto bassa. Nel novembre del 1964 decide di partire per la Germania a Eltville dove trova lavoro come aggiustatore meccanico in una fabbrica che produce diversi oggetti per uso farmaceutico (tappi in plastica per le boccette di medicinali, aghi per siringhe, ecc.). Vive nei dormitori riservati agli operai della ditta. Il 3 ottobre del 1965 lo raggiunge anche la moglie e insieme affittano una stanza utilizzata come cucina e camera contemporaneamente. Anche Maria Nazzi lavora nella fabbrica assieme al marito, ma nel maggio del 1966 la moglie è costretta a rientrare in Italia per problemi di salute. Adelchi Chiavon decide di rimanere a Eltiville fino al 1967 quando rientra definitivamente a Zugliano. In Italia lavora per una ditta fino alla pensione continuando a viaggiare; questa volta inviato all'estero dalla ditta italiana.

Adelchi Chiavon e Maria Nazzi si sono trovati molto bene in Argentina. I sabati sera ritrovavano gli amici al Club Italiano, oppure decidevano di incontrarsi con altri friulani a casa di qualcuno per una grigliata o una partita a carte. Mentre erano in Argentina non sono stati guardati con diffidenza dagli abitanti del luogo. La situazione è stata invece diversa in Germania: non si sono sentiti a casa propria e la gente non è stata molto ospitale.

Adelchi Chiavon al lavoro; Buenos Aires, settembre 1958.